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Elizabeth Warren, la senatrice Usa che vuole smembrare i big del web
Published
4 anni agoon

Lei è Elizabeth Warren, senatrice dello Stato del Massachusetts e candidata democratica alla Presidenza degli Stati Uniti. La sua idea è quella di spezzare i monopoli delle giganti dell’high-tech perché, afferma, soffocano l’innovazione e danneggiano le piccole imprese.
In un post, pubblicato sul sito di blog online Medium, dal titolo “Ecco come possiamo smembrare i grandi della tecnologia”, descrive il suo piano per ridurre il dominio digitale dei vari Google, Facebook, Amazon e Apple ree di aver accumulato troppo potere e di aver demolito la concorrenza, usando le informazioni private per scopi di lucro, limitando la libera concorrenza e la libertà di mercato.
Di seguito il suo intervento.
“Venticinque anni fa, Facebook, Google e Amazon non esistevano. Ora sono tra le aziende con più valore e maggiormente conosciute al mondo. È una grande storia – ma anche una storia che mette in evidenza i motivi per i quali il governo deve rompere i monopoli e promuovere la libera competizione sui mercati.
Negli anni ’90, Microsoft – il gigante tecnologico del suo tempo – oltre ad avere una posizione dominante nei settore dei sistemi operativi per computer stava cercando di assumere una posizione dominante anche nel segmento della navigazione web. Il governo federale ha fatto causa alla Microsoft per aver violato le leggi anti-monopolio e alla fine ha raggiunto un accordo. La causa antitrust del governo nei confronti di Microsoft ha aiutato a intraprendere quel percorso di libera competizione sul mercato che poi ha portato alla nascita di società Internet come Google e Facebook.
La storia dimostra perché la promozione della concorrenza è così importante: consente ad aziende nuove e innovative di crescere e di prosperare, spingendo tutti gli attori presenti nel mercato a offrire prodotti e servizi migliori. Non siamo tutti contenti di avere ora la possibilità di usare Google invece di poter usare solo Bing?
Le grandi aziende tecnologiche odierne hanno troppo potere: troppo potere sulla nostra economia, sulla nostra società e sulla nostra democrazia. Hanno bandito la concorrenza, usato le nostre informazioni private per fare profitto e hanno cambiato le regole del gioco, danneggiando le piccole imprese e soffocando l’innovazione.
Voglio un governo che assicuri che tutti, anche le più grandi e potenti aziende d’America, rispettino le regole. E voglio assicurarmi che la prossima generazione di grandi aziende tecnologiche americane possa prosperare. Per fare ciò, dobbiamo impedire a questa generazione di grandi aziende tecnologiche di usare il loro potere per modellare le regole a loro favore e sfruttare il loro potere economico per annientare o comprare ogni potenziale concorrente.
Ecco perché la mia amministrazione apporterà grossi cambiamenti strutturali al settore tecnologico per promuovere una maggiore concorrenza, tra cui lo scorporo e la separazione delle attività di Amazon, Facebook e Google.
Le grandi aziende tecnologiche americane offrono prodotti di valore ma esercitano anche un enorme potere sulle nostre vite digitali. Quasi la metà di tutto l’e-commerce passa attraverso Amazon. Oltre il 70% di tutto il traffico Internet passa attraverso siti di proprietà o gestiti da Google o Facebook.
Poiché queste società sono diventate più grandi e più potenti, hanno usato le loro risorse e il controllo sul modo in cui utilizziamo Internet per limitare l’innovazione e sostituire i loro interessi finanziari a quelli più ampi del popolo americano. Per ripristinare gli equilibri di potere nella nostra democrazia, per promuovere la concorrenza e per garantire che la prossima generazione di innovazione tecnologica sia vibrante come l’ultima, è ora di smembrare le nostre più grandi aziende tecnologiche.
Le grandi aziende tecnologiche americane hanno raggiunto il loro livello di dominio in parte sulla base di due strategie:
Utilizzo delle fusioni per limitare la concorrenza. Facebook ha acquistato potenziali concorrenti come Instagram e WhatsApp. Amazon ha usato il suo immenso potere di mercato per costringere concorrenti più piccoli come Diapers.com a vendere a una tariffa scontata. Google ha acquisito la società di mappe Waze e la società pubblicitaria DoubleClick. Anziché bloccare queste transazioni per i loro effetti negativi a lungo termine sulla concorrenza e sull’innovazione, le autorità di regolamentazione del governo le hanno agevolate;
Utilizzo dei marketplace proprietari per limitare la concorrenza . Molte grandi aziende tecnologiche sono proprietarie di piattaforme – dove si incontrano acquirenti e venditori – e partecipano a loro volta alle trattative di acquisto e vendita. Ciò può creare un conflitto di interessi che mina la concorrenza. Amazon distrugge le piccole aziende copiando i prodotti che sono venduti sul suo marketplace. Google avrebbe avversato un piccolo motore di ricerca concorrente declassando il suo contenuto sul suo algoritmo di ricerca e favorito le sue valutazioni sui ristoranti rispetto a quelle di Yelp .
La debole applicazione delle norme antitrust ha portato a una drastica riduzione della concorrenza e dell’innovazione nel settore tecnologico. I venture capitalist sono ora riluttanti a finanziare nuove start-up per competere con queste grandi aziende tecnologiche perché è così facile per le grandi aziende escludere i concorrenti dal mercato. Il numero di start-up tecnologiche è diminuito, ci sono meno giovani nelle aziende ad alta crescita tipiche del settore tecnologico e i primi round di finanziamento per le startup tecnologiche sono diminuiti del 22% dal 2012.
Con un minor numero di concorrenti che entrano nel mercato, le grandi aziende tecnologiche non devono competere in modo aggressivo in settori chiave come la protezione della nostra privacy. Dobbiamo garantire che i giganti della tecnologia di oggi non escludano potenziali concorrenti, non soffochino la prossima generazione di grandi aziende tecnologiche e non possano avere così tanto potere da compromettere la nostra democrazia.
L’America ha una lunga tradizione nello smembrare le aziende separando le loro attività quando queste sono diventate troppo grandi e dominanti, anche se forniscono un buon servizio a un prezzo ragionevole.
Ondate di fusioni hanno portato alla creazione di alcune delle più grandi aziende della storia americana – da Standard Oil e JPMorgan alle ferrovie e AT&T. In risposta all’aumento di questi “trust”, i riformatori repubblicani e democratici hanno spinto per leggi antitrust che avessero come obiettivo quello di rompere questi conglomerati di potere per garantire la concorrenza.
Coerentemente con questa tradizione, la mia amministrazione riporterebbe la concorrenza al settore tecnologico adottando due passaggi principali: innanzitutto, approvando una legislazione che richiede che le piattaforme tecnologiche di grandi dimensioni siano designate come “piattaforme di utilità” e separate da qualsiasi partecipazione attiva su tale piattaforma.
Le aziende con un fatturato globale annuo di 25 miliardi di dollari o più e che offrono al pubblico un mercato online, uno scambio o una piattaforma per il collegamento di terze parti sarebbero designate come “piattaforme di utilità”.
A queste società sarebbe vietato possedere la piattaforma e partecipare come attore a quella stessa piattaforma.
Le aziende più piccole (quelle con un fatturato globale annuo compreso tra 90 milioni e 25 miliardi di dollari), sarebbero obbligate a soddisfare lo stesso standard di trattamento – equo, ragionevole e non discriminatorio – con gli utenti, ma non sarebbero obbligate a strutturarsi separatamente.
Per far rispettare questi nuovi requisiti, i regolatori federali, i procuratori generali dello Stato o le parti private avrebbero il diritto di citare in giudizio una piattaforma di utilità per sanzionare qualsiasi comportamento che violi tali requisiti, per revocare eventuali guadagni illeciti e per essere indennizzato per eventuali perdite e danni. Una società che ha violato tali requisiti dovrebbe anche pagare una multa pari al 5% delle proprie entrate annuali.
Il marketplace di Amazon, il Google Display network, il motore di ricerca Google sarebbero definite secondo questa legge come piattaforme di utilità e come tali sarebbero scorporate in società separate.
In secondo luogo, la mia amministrazione nominerebbe i regolatori impegnati a invertire fusioni tecniche illegali e anticoncorrenziali, tra cui:
- Amazon : Whole Foods; Zappos
- Facebook : WhatsApp; Instagram
- Google : Waze; Doubleclick
L’annullamento di queste fusioni promuoverà una sana concorrenza sul mercato e avrà come conseguenza quella di mettere sotto pressione le grandi aziende tecnologiche affinché si preoccupino maggiormente degli utenti, inclusa la loro privacy.
Quindi che aspetto avrebbe Internet dopo tutte queste riforme?
Ecco cosa non cambierà: sarai ancora in grado di andare su Google e cercare come fai oggi. Sarai comunque in grado di andare su Amazon e trovare 30 diverse macchine da caffè che potrai ricevere a casa tua in due giorni. Sarai comunque in grado di andare su Facebook e vedere come sta andando il tuo vecchio amico di scuola.
Ecco che cosa si cambia: le piccole imprese avrebbero la possibilità di vendere i loro prodotti su Amazon senza il timore che Amazon li possa spingere fuori dal mercato. Google non potrà soffocare i concorrenti abbassando i prezzi dei loro prodotti sul proprio motore di ricerca. Facebook dovrebbe affrontare la pressione reale di Instagram e WhatsApp per migliorare l’esperienza dell’utente e proteggere la nostra privacy. Gli imprenditori tecnologici avrebbero una possibilità di combattere contro i giganti della tecnologia.
Certo, le mie proposte oggi non risolveranno tutti i problemi che abbiamo con le nostre grandi aziende tecnologiche.
Dobbiamo dare alle persone un maggiore controllo sul modo in cui le loro informazioni personali vengono raccolte, condivise e vendute.
Dobbiamo aiutare i creatori di contenuti dell’America – dai giornali locali e dalle riviste nazionali – a trattenere una quota maggiore del valore generato dal loro contenuto, piuttosto che vederlo monetizzato da aziende come Google e Facebook.
E dobbiamo assicurarci che la Russia – o qualsiasi altra potenza straniera – non possa usare Facebook o qualsiasi altra forma di social media per influenzare le nostre elezioni.
Questi sono tutti problemi difficili, ma il vantaggio di intraprendere questi passi per promuovere la concorrenza è che ci consente di fare alcuni progressi su ciascuna di queste importanti questioni. Una maggiore concorrenza significa più opzioni per i consumatori e i produttori di contenuti.
Una sana competizione può risolvere molti problemi. I passi che sto proponendo oggi permetteranno alle grandi aziende tecnologiche di continuare a offrire servizi a misura di cliente, promuovendo al tempo stesso la concorrenza, stimolando l’innovazione nel settore tecnologico e garantendo che l’America continui a guidare il mondo nella produzione di aziende tecnologiche all’avanguardia. È così che proteggeremo il futuro di Internet”.
Il post originale è disponibile su Medium a questo link
Lavoro da oltre 20 anni nel mondo editoriale, delle tlc e di internet, occupandomi principalmente di marketing e pubblicità. Laureato in Scienze Politiche Internazionali, ho lavorato in Telecom Italia dove, dopo un periodo al marketing strategico, ho partecipato al lancio di Tin.it prima e di Excite Italia poi. Mi sono occupato di pubblicità per Editori PerlaFinanza, per News 3.0 e per il gruppo Hearst Italia. Attualmente mi occupo di digital advertising per Il Sole 24 ORE.

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Peggiora il sentiment degli inserzionisti americani sugli investimenti in pubblicità nel 2° trimestre. Durante la prima settimana di aprile, la società di ricerca Advertiser Perceptions ha realizzato una seconda serie di interviste tra inserzionisti e agenzie di pubblicità negli Usa sugli effetti della pandemia sui loro piani di spesa secondo la quale l’86 per cento degli intervistati si aspetta una forte contrazione degli investimenti, in crescita rispetto al 70 per cento registrato nella prima serie di interviste.
Il peggioramento riguarda anche le previsioni relative agli investimenti adv del 3° trimestre, dove il sentiment negativo è passato dal 28 per cento della prima rilevazione al 43 per cento dell’ultima indagine di aprile, mentre un’analoga indagine dell’Interactive Advertising Boureau (IAB) di metà marzo condotta tra editori, agenzie media e gestori di piattaforme programmatiche ha rilevato aspettative di riduzione dei budget a due cifre nel medio termine, con la tipologia display che risulterebbe maggiormente penalizzata rispetto a search e social.

“A causa degli effetti inaspettati di Covid-19, le nostre entrate pubblicitarie sono state quasi azzerate“, è questo quanto contenuto in un memo che è circolato lo scorso martedi 17 aprile tra lo staff di Chris Argentieri, presidente del California Times, la casa editrice che include The Times e The San Diego Union-Tribuna. Successivamente è stata fatta circolare una dichiarazione nella quale si dice che il LA Times ha perso più di un terzo delle sue entrate pubblicitarie e che prevede di perdere più della metà delle sue entrate pubblicitarie nei prossimi mesi.
E sono proprio i prossimi mesi a rappresentare, per molti editori di notizie locali negli Usa (ma non solo) la variabile più importante perché la pubblicità locale sarà assente fintanto che durerà la chiusura di negozi e attività commerciali locali, influendo quindi sul futuro di molte testate di stampa.
La voce che circola all’interno della casa editrice è che se il lock-down durerà ancora alcune settimane possono esserci delle chance di sopravvivenza ma se il periodo di chiusura dovesse prolungarsi fino ad oltre l’estate per la testata, che dopo l’acquisto da parte del miliardario biotecnologico Patrick Soon-Shiong nel giugno 2018 ha mancato tutti gli obiettivi di rilancio anche a livello di abbonamenti digitali, sarà la fine.
Nel frattempo sono iniziati i tagli, con la chiusura di tre edizioni settimanali locali che servono le città di Burbank, Glendale e La Cañada Flintridge e il licenziamento dei redattori. Un pezzo di storia della stampa in US che se ne va. Il Burkand Leader è una testata nata nel 1985 prendendo l’eredità del Burbank Daily Review fondato nel 1908. La Canada Valley Sun è una testata del 1946, mentre il Glendale News Press, che fa riferimento ad una cittadina di 200 mila abitanti, è una testata fondata nel 1905.
Its with deep sadness that I have to report that they are pulling the plug on our papers. More than 115 years of service for each the Burbank Leader and Glendale News-Press, along with the La Canada Valley Sun. It’s been a wonderful 29 years for me and I have enjoyed it greatly.
— Jeff Tully (@jefftsports) April 16, 2020
So heartbroken to hear that the LA Times made a decision to shut down the Burbank Leader, Glendale News-Press, and La Cañada Valley Sun. Thank you for keeping our communities updated through the wonderful coverage. To all the writers being laid off, I’m so sorry! 😭📰💔 pic.twitter.com/L57KYN6Xt2
— Kenny Uong (@_KennyUong_) April 17, 2020
with a heavy heart, the first big editorial cuts to come to the journalism made by the Los Angeles Times family
our Times Community News north team, publishing the Burbank Leader, Glendale News-Press and La Cañada Valley Sun, have been shutdown, jobs eliminated https://t.co/4CVMEOX4GN
— Jay L. Clendenin (@jaylclendenin) April 16, 2020
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Come stanno cambiando gli investimenti in pubblicità negli Usa
Published
3 anni agoon
14 Aprile 2020
E’ quello dell’OOH (esterna) il mercato pubblicitario che risulterà più penalizzato dall’effetto del Coronavirus nel periodo marzo-giugno 2020, con una riduzione secca del 50 per cento degli investimenti nei mesi di marzo e aprile (coerentemente con gli effetti della riduzione della mobilità delle persone a causa della quarantena obbligatoria) e del 40 per cento nei mesi di maggio e giugno. A seguire, per quanto riguarda i mezzi tradizionali, la radio e la tv lineare, con decrementi attorno al meno 45 e meno 35 per cento rispettivamente nei mesi di marzo-aprile e maggio-giugno 2020.
Un po’ meglio il digitale, dove il forte calo della display nei mesi di marzo e aprile, pari a circa il 41 per cento dovrebbe rallentare nei mesi successivi, quelli di maggio e giugno, al-28 per cento e nel mondo social, dove l’incremento di utilizzo dovuto alla “cattività forzata” stabilita dalle regole di contenimento dell’epidemia di Coronavirus, dovrebbe limare la perdita dal -33 per cento di marzo e aprile al -23 per cento di maggio-giugno.
Queste le principali evidenze emerse da una recente indagine di eMarketer sull’orientamento nei confronti della spesa in advertising condotta tra agenzie e responsabili marketing della principali aziende in US. Dati confermati anche dalla World Federation of Advertisers in un’analoga indagine sulle strategie di marketing di alcuni dei principali spender pubblicitari dalla quale si evidenzia come 4 su 5 multinazionali hanno già messo in pausa le campagne pubblicitarie già pianificate a causa dell’emergenza legata al Coronavirus.
Secondo l’associazione, di cui fa parte anche l’italiana Upa, il 34 per cento dei brand intervistati conta di rinviare di uno o due mesi le proprie campagne pubblicitarie mentre il il 28 per cento ha addirittura annullato gli investimenti per un intero trimestre. Vi è poi una parte, pari al 13 per cento delle aziende intervistate che ha dichiarato di rimanere alla finestra almeno per tutto il primo semestre del 2020 in attesa di capire come riprendere le proprie attività in comunicazione, mentre solo nel 19 per cento dei casi i piani di marketing sono stati confermati.
Tra quest’ultime realtà ci sono anche tutti quei brand che stanno realizzando nuove campagne basate su un tone of voice più in linea con l’attuale momento di crisi.
In ogni caso l’impatto sugli investimenti pubblicitari si farà sentire con cali stimati tra il 20 e il 40 per cento sull’intero 2020.

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