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Alphabet: delude la crescita dei ricavi di Google. Lasciano Eric Schmidt e la responsabile del cloud

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Alphabet, la holding a cui fa capo Google e altre attività, ha riportato per il trimestre terminato il 31 marzo 2019 ricavi complessivi per 36,339 miliardi di dollari (37,33 miliardi di dollari era il valore atteso dal mercato), un margine operativo lordo (MOL) di 6,608 miliardi di dollari e un utile netto in calo del 29% a 6,657 miliari di dollari, pari ad un EPS (Earning per Share) di 9,50 dollari, su cui pesa anche la multa dell’Antitrust UE.

I risultati sono a ben vedere senza dubbio importanti, ma comunque inferiori alle attese degli analisti e hanno rafforzato le preoccupazioni di quanti temono che gli inserzionisti possano aver iniziato a spostare i propri investimenti da Google ad altre aziende concorrenti.

A preoccupare è sopratutto il tasso di crescita del fatturato, 17% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, atteso che nel 2018 i ricavi di Alphabet sono cresciuti del 23,4% e che nessun trimestre mostra una crescita su base annua inferiore al 20%. Numeri che vanno letti a confronto con la crescita del 34% dei ricavi pubblicitari registrati da Amazon e del 26% di incremento ottenuto da Facebook sempre nel primo trimestre del 2019.

E sebbene nel corso della conferenza di presentazione dei risultati finanziari, Routh Porat, il Chief Financial Officer di Alphabet, abbia speso parole per minimizzare questi valori affermando che “c’è ancora tanto margine di crescita nell’online adv per tutte le società del settore perché quasi la metà dei budget adv in US è ancora spesa offline, così come il 90% del commercio“, che qualcosa non giri per il verso giusto a Mountain View appare ormai evidente: l’anno scorso anno Google si è trovata a dover fronteggiare le accuse di cattiva condotta sessuale che hanno portato i dipendenti ad organizzare uno sciopero; nel mese di gennaio, Alphabet è stata multata dalle autorità francesi per 50 milioni di euro per non aver fornito agli utenti informazioni trasparenti e comprensibili sulle sue politiche di utilizzo dei dati; a marzo di quest’anno è stata colpita da una multa di 1,5 miliardi di euro dall’Unione europea per abuso di posizione dominante sul mercato dell’adv online;  nel mese di aprile di quest’anno in UK i dipendenti che hanno firmato una lettera di protesta contro il trattamento riservato ai lavoratori temporanei a cui l’azienda ha, in alcuni casi, anticipato i termini della collaborazione.

Dopo la pubblicazione dei dati finanziari hanno poi lasciato l’azienda l’ex amministratore delegato Eric Schmidt, che ha guidato l’azienda tra il 201 e il 2011 ricoprendo poi il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione e Diane Greene, ex responsabile dei servizi cloud di Google.

Sul cloud pesano i risultati non proprio brillanti del gruppo di Mountain View, mentre i rivali come Amazon e Microsoft viaggiano su questo segmento a gonfie vele.

Alphabet suddivide la sua attività in tre aree principali: la “pubblicità”, “altre entrate” e “altre scommesse”, che sono le attività non di Google. Le “altre attività” di Google – Play Store, hardware e Google Cloud – hanno registrato entrate per 5,45 miliardi di dollari, mancano previsioni di 5,67 miliardi di dollari, mentre il segmento “altre scommesse” ha registrato entrate per 170 milioni, quasi in linea con le aspettative di 172 milioni, ma con una perdita operativa di 868 milioni, ben oltre la perdita di 571 milioni di un anno fa e sensibilmente peggiore rispetto ai 640 milioni stimati dagli analisti.

Questo articolo è redatto a solo scopo informativo, può essere modificato in qualsiasi momento e non può essere considerato sollecitazione al pubblico risparmio; thebriefing.org non garantisce la correttezza delle informazioni e non si assume la responsabilità in merito all’uso dei dati qui riportati.

 

 

Lavoro da oltre 20 anni nel mondo editoriale, delle tlc e di internet, occupandomi principalmente di marketing e pubblicità. Laureato in Scienze Politiche Internazionali, ho lavorato in Telecom Italia dove, dopo un periodo al marketing strategico, ho partecipato al lancio di Tin.it prima e di Excite Italia poi. Mi sono occupato di pubblicità per Editori PerlaFinanza, per News 3.0 e per il gruppo Hearst Italia. Attualmente mi occupo di digital advertising per Il Sole 24 ORE.

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Peggiora l’outlook della spesa pubblicitaria negli USA

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Peggiora il sentiment degli inserzionisti americani sugli investimenti in pubblicità nel 2° trimestre. Durante la prima settimana di aprile, la società di ricerca Advertiser Perceptions ha realizzato una seconda serie di interviste tra inserzionisti e agenzie di pubblicità negli Usa sugli effetti della pandemia sui loro piani di spesa secondo la quale l’86 per cento degli intervistati si aspetta una forte contrazione degli investimenti, in crescita rispetto al 70 per cento registrato nella prima serie di interviste.

Il peggioramento riguarda anche le previsioni relative agli investimenti adv del 3° trimestre, dove il sentiment negativo è passato dal 28 per cento della prima rilevazione al 43 per cento dell’ultima indagine di aprile, mentre un’analoga indagine dell’Interactive Advertising Boureau (IAB) di metà marzo condotta tra editori, agenzie media e gestori di piattaforme programmatiche ha rilevato aspettative di riduzione dei budget a due cifre nel medio termine, con la tipologia display che risulterebbe maggiormente penalizzata rispetto a search e social.

 

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Los Angeles Times: pubblicità quasi a zero

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A causa degli effetti inaspettati di Covid-19, le nostre entrate pubblicitarie sono state quasi azzerate“, è questo quanto contenuto in un memo che è circolato lo scorso martedi 17 aprile tra lo staff di Chris Argentieri, presidente del California Times, la casa editrice che include The Times e The San Diego Union-Tribuna. Successivamente è stata fatta circolare una dichiarazione nella quale si dice che il LA Times ha perso più di un terzo delle sue entrate pubblicitarie e che prevede di perdere più della metà delle sue entrate pubblicitarie nei prossimi mesi.

E sono proprio i prossimi mesi a rappresentare, per molti editori di notizie locali negli Usa (ma non solo) la variabile più importante perché la pubblicità locale sarà assente fintanto che durerà la chiusura di negozi e attività commerciali locali, influendo quindi sul futuro di molte testate di stampa.

La voce che circola all’interno della casa editrice è che se il lock-down durerà ancora alcune settimane possono esserci delle chance di sopravvivenza ma se il periodo di chiusura dovesse prolungarsi fino ad oltre l’estate per la testata, che dopo l’acquisto da parte del miliardario biotecnologico Patrick Soon-Shiong nel giugno 2018 ha mancato tutti gli obiettivi di rilancio anche a livello di abbonamenti digitali, sarà la fine.

Nel frattempo sono iniziati i tagli, con la chiusura di tre edizioni settimanali locali che servono le città di Burbank, Glendale e La Cañada Flintridge e il licenziamento dei redattori. Un pezzo di storia della stampa in US che se ne va. Il Burkand Leader è una testata nata nel 1985 prendendo l’eredità del Burbank Daily Review fondato nel 1908. La Canada Valley Sun è una testata del 1946, mentre il Glendale News Press, che fa riferimento ad una cittadina di 200 mila abitanti, è una testata fondata nel 1905.

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Come stanno cambiando gli investimenti in pubblicità negli Usa

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E’ quello dell’OOH (esterna) il mercato pubblicitario che risulterà più penalizzato dall’effetto del Coronavirus nel periodo marzo-giugno 2020, con una riduzione secca del 50 per cento degli investimenti nei mesi di marzo e aprile (coerentemente con gli effetti della riduzione della mobilità delle persone a causa della quarantena obbligatoria) e del 40 per cento nei mesi di maggio e giugno. A seguire, per quanto riguarda i mezzi tradizionali, la radio e la tv lineare, con decrementi attorno al meno 45 e meno 35 per cento rispettivamente nei mesi di marzo-aprile e maggio-giugno 2020.

Un po’ meglio il digitale, dove il forte calo della display nei mesi di marzo e aprile, pari a circa il 41 per cento dovrebbe rallentare nei mesi successivi, quelli di maggio e giugno, al-28 per cento e nel mondo social, dove l’incremento di utilizzo dovuto alla “cattività forzata” stabilita dalle regole di contenimento dell’epidemia di Coronavirus, dovrebbe limare la perdita dal -33 per cento di marzo e aprile al -23 per cento di maggio-giugno.

 

 

Queste le principali evidenze emerse da una recente indagine di eMarketer sull’orientamento nei confronti della spesa in advertising condotta tra agenzie e responsabili marketing della principali aziende in US. Dati confermati anche dalla World Federation of Advertisers in un’analoga indagine sulle strategie di marketing di alcuni dei principali spender pubblicitari dalla quale si evidenzia come 4 su 5 multinazionali hanno già messo in pausa le campagne pubblicitarie già pianificate a causa dell’emergenza legata al Coronavirus.

Secondo l’associazione, di cui fa parte anche l’italiana Upa, il 34 per cento dei brand intervistati conta di rinviare di uno o due mesi le proprie campagne pubblicitarie mentre il il 28 per cento ha addirittura annullato gli investimenti  per un intero trimestre. Vi è poi una parte, pari al 13 per cento delle aziende intervistate che ha dichiarato di rimanere alla finestra almeno per tutto il primo semestre del 2020 in attesa di capire come riprendere le proprie attività in comunicazione, mentre solo nel 19 per cento dei casi i piani di marketing sono stati confermati.

Tra quest’ultime realtà ci sono anche tutti quei brand che stanno realizzando nuove campagne basate su un tone of voice più in linea con l’attuale momento di crisi.

In ogni caso l’impatto sugli investimenti pubblicitari si farà sentire con cali stimati tra il 20 e il 40 per cento sull’intero 2020.

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