Dall’analisi del valore di mercato delle imprese negli ultimi 20 anni emerge il ruolo crescente assunto dalle piattaforme online che occupano oggi 7 delle prime 10 posizioni a livello mondiale per valore di capitalizzazione. Questo il dato che emerge dai dati riportati nel primo Osservatorio sulle piattaforme online realizzato dall’AgCom nel quale si evidenzia come le piattaforme stiano rivoluzionando non solo il settore delle comunicazioni ma anche, in qualche modo, l’intera economia. E la domanda che viene spontanea dopo aver analizzato i dati proposti dall’analisi dell’autorità è questa: nel rapporto tra le piattaforme online e le aziende media e le telco tradizionali per la conquista del mercato, si sta giocando una partita ad armi pari?

Negli ultimi anni, mentre il valore delle imprese dei settori tradizionali è rimasto stabile, quello delle piattaforme online ha subito un vero e proprio balzo in avanti, che testimonia, secondo l’AgCom, una discontinuità paradigmatica basata su una struttura multiversante, in cui le piattaforme agiscono da intermediari e i dati individuali assumono un ruolo cruciale sia al momento della loro valorizzazione diretta (tramite pubblicità online), sia nella possibilità di rivoluzionare i servizi tradizionali (dal commercio al dettaglio, ai servizi postali, dall’intrattenimento audiovisivo e musicale al settore automobilistico, fino ai nuovi servizi finanziari), sia, infine, nella creazione di nuovi mercati.

Il crescente valore borsistico, gli elevati margini di profitto, la possibilità di operare sull’intero scenario mondiale e quindi di sfruttare economie di scala di domanda e di offerta, garantiscono la possibilità di effettuare elevatissimi investimenti tecnici e in ricerca, e quindi di essere leader in tutte le nuove tecnologie abilitanti: dal cloud al quantum computing, dalla big data analytics alla blockchain.
I ricavi complessivi delle piattaforme nel mondo sono pari a 692 miliardi di euro, un volume che registra una crescita del 35% rispetto al 2017 e assume un valore quattro volte superiore a quello realizzato dalle principali imprese di TLC e media tradizionali, anche in ragione della presenza delle piattaforme sui mercati di tutto il mondo.
Se mediamente i ricavi realizzati da una piattaforma superano i 115 miliardi di euro, quelli conseguiti da un’impresa di TLC e media non raggiungono i 30 miliardi. La prima piattaforma per ricavi a livello globale è Apple, mentre Google è la piattaforma che in Italia genera più ricavi (all’interno del Sistema integrato delle comunicazioni).

Ma non è solo quello dei ricavi l’aspetto più interessante all’interno dell’analisi dell’AgCom. Quando si analizzano i dati relativi alla spesa in ricerca e sviluppo appare evidente l’abisso esistente, tanto per fare un esempio, tra OTT e le aziende di telecomunicazione. La spesa media in R&D delle piattaforme ammonta a 13 miliardi di euro. Valore che passa dal miliardo di euro di Netflix agli oltre 24 miliardi di Amazon. Facebook, con quasi 9 miliardi, presenta il maggior valore percentuale (18% dei ricavi). Anche se il valore in percentuale tra OTT e aziende di telecomunicazioni è abbastanza simile, rispettivamente dell’11% e del 12% del totale dei ricavi, appare evidente che in valore assoluto, gli investimenti non sono assolutamente paragonabili: parliamo di 13 miliardi di euro in media di investimenti in innovazione da parte delle piattaforme rispetto ai 300 milioni delle aziende di tlc. Appare del tutto evidente che il fattore di rinnovamento tecnologico che gli OTT sono in grado di scaricare a terra consente un vantaggio competitivo incolmabile da parte delle aziende di tlc tradizionali.

Inoltre, la grande liquidità generata dagli OTT, pari ad una media di 32 miliardi di euro l’anno, consente una elevata capacità di autofinanziamento, mentre le aziende di tlc e le media company tradizionali sono costrette a ricorrere all’indebitamento per riuscire a finanziare i propri investimenti. Cosa che si traduce in un ulteriore elemento di vantaggio competitivo per le piattaforme online.
C’è poi da dire che In considerazione del grande numero di utenti raggiunti nonché del tempo speso e delle molteplici azioni compiute dagli stessi, le piattaforme riescono ad acquisire un vasto ammontare di dati personali che attraverso attività di big data anlytics consento alle piattaforme un ulteriore vantaggio competitivo.
Nel caso dei servizi online gratuiti, si realizza di fatto uno scambio implicito tra gli utenti e la piattaforma, che si sostanzia nella cessione, da parte dei primi, dei propri dati a fronte, non già di un corrispettivo economico, ma appunto del servizio offerto gratuitamente dalla piattaforma. La disponibilità di grandi masse di dati individuali consente alla piattaforma di compiere un’accurata profilazione degli utenti, dalla quale dipende la possibilità per gli inserzionisti che si servono della piattaforma di raggiungere target specifici di consumatori. In tale contesto, l’ARPU (dato dal rapporto tra i ricavi pubblicitari conseguiti nell’anno e il numero medio di utenti raggiunti) fornisce una misura di quanto vengono valorizzati i contatti pubblicitari (personalizzati) della piattaforma, e, dunque, del valore che, per finalità pubblicitarie, assumono i dati degli stessi, implicitamente scambiati per la gratuità del servizio.

Il valore dei dati individuali riflette ovviamente la disponibilità a pagare da parte dei cittadini. Da questo punto di vista, sia per il search che per i social network, gli USA presentano un ARPU pubblicitario nettamente superiore rispetto alle altre aree geografiche, in linea con quanto avviene per il PIL pro capite. I dati di un utente medio USA valgono, ai soli fini pubblicitari, circa 150 euro in un anno nel search e oltre 90 euro nei social, 3 volte tanto quelli degli europei, e 15-18 volte quelli degli utenti che si trovano in Paesi in via di sviluppo.
Per quanto riguarda l’Italia, ai soli fini pubblicitari, il fatturato generato in un anno dai dati di un singolo utente italiano vale in media per le piattaforme 5 volte i ricavi dei principali publisher nazionali, comprendendo nell’analisi testate online e portali e questo rappresenta un fortissimo fattore di criticità per il mercato dell’editoria in Italia. I valori dell’ARPU in Italia sono infatti la cartina al tornasole della perdurante difficoltà degli editori a competere con le piattaforme nella raccolta pubblicitaria online.
