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Smart speaker oltre quota 200 milioni a fine 2019

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Crescita senza freni per il mercato degli smart speakers. L’istituto di ricerca Canalys stima che il segmento crescerà dell’82% quest’anno con 207,9 milioni di esemplari diffusi a fine 2019, per arrivare a 400 milioni di smart speaker nel 2021. A fare la parte del leone oltre agli Stati Uniti (90 milioni di smart speaker  entro fine anno), saranno i Paesi asiatici, Cina in testa, dove la base installata dovrebbe raggiungere i 59,9 milioni di unità entro fine anno.

Lavoro da oltre 20 anni nel mondo editoriale, delle tlc e di internet, occupandomi principalmente di marketing e pubblicità. Laureato in Scienze Politiche Internazionali, ho lavorato in Telecom Italia dove, dopo un periodo al marketing strategico, ho partecipato al lancio di Tin.it prima e di Excite Italia poi. Mi sono occupato di pubblicità per Editori PerlaFinanza, per News 3.0 e per il gruppo Hearst Italia. Attualmente mi occupo di digital advertising per Il Sole 24 ORE.

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Platform economy: OTT e media tradizionali stanno giocando una partita ad armi pari?

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Dall’analisi del valore di mercato delle imprese negli ultimi 20 anni emerge il ruolo crescente assunto dalle piattaforme online che occupano oggi 7 delle prime 10 posizioni a livello mondiale per valore di capitalizzazione. Questo il dato che emerge dai dati riportati nel primo Osservatorio sulle piattaforme online realizzato dall’AgCom nel quale si evidenzia come le piattaforme stiano rivoluzionando non solo il settore delle comunicazioni ma anche, in qualche modo, l’intera economia. E la domanda che viene spontanea dopo aver analizzato i dati proposti dall’analisi dell’autorità è questa: nel rapporto tra le piattaforme online e le aziende media e le telco tradizionali per la conquista del mercato, si sta giocando una partita ad armi pari?

Negli ultimi anni, mentre il valore delle imprese dei settori tradizionali è rimasto stabile, quello delle piattaforme online ha subito un vero e proprio balzo in avanti, che testimonia, secondo l’AgCom, una discontinuità paradigmatica basata su una struttura multiversante, in cui le piattaforme agiscono da intermediari e i dati individuali assumono un ruolo cruciale sia al momento della loro valorizzazione diretta (tramite pubblicità online), sia nella possibilità di rivoluzionare i servizi tradizionali (dal commercio al dettaglio, ai servizi postali, dall’intrattenimento audiovisivo e musicale al settore automobilistico, fino ai nuovi servizi finanziari), sia, infine, nella creazione di nuovi mercati.

Il crescente valore borsistico, gli elevati margini di profitto, la possibilità di operare sull’intero scenario mondiale e quindi di sfruttare economie di scala di domanda e di offerta, garantiscono la possibilità di effettuare elevatissimi investimenti tecnici e in ricerca, e quindi di essere leader in tutte le nuove tecnologie abilitanti: dal cloud al quantum computing, dalla big data analytics alla blockchain.

I ricavi complessivi delle piattaforme nel mondo sono pari a 692 miliardi di euro, un volume che registra una crescita del 35% rispetto al 2017 e assume un valore quattro volte superiore a quello realizzato dalle principali imprese di TLC e media tradizionali, anche in ragione della presenza delle piattaforme sui mercati di tutto il mondo.

Se mediamente i ricavi realizzati da una piattaforma superano i 115 miliardi di euro, quelli conseguiti da un’impresa di TLC e media non raggiungono i 30 miliardi. La prima piattaforma per ricavi a livello globale è Apple, mentre Google è la piattaforma che in Italia genera più ricavi (all’interno del Sistema integrato delle comunicazioni).

Ma non è solo quello dei ricavi l’aspetto più interessante all’interno dell’analisi dell’AgCom. Quando si analizzano i dati relativi alla spesa in ricerca e sviluppo appare evidente l’abisso esistente, tanto per fare un esempio, tra OTT e le aziende di telecomunicazione. La spesa media in R&D delle piattaforme ammonta a 13 miliardi di euro. Valore che passa dal miliardo di euro di Netflix agli oltre 24 miliardi di Amazon. Facebook, con quasi 9 miliardi, presenta il maggior valore percentuale (18% dei ricavi). Anche se il valore in percentuale tra OTT e aziende di telecomunicazioni è abbastanza simile, rispettivamente dell’11% e del 12% del totale dei ricavi, appare evidente che in valore assoluto, gli investimenti non sono assolutamente paragonabili: parliamo di 13 miliardi di euro in media di investimenti in innovazione da parte delle piattaforme rispetto ai 300 milioni delle aziende di tlc. Appare del tutto evidente che il fattore di rinnovamento tecnologico che gli OTT sono in grado di scaricare a terra consente un vantaggio competitivo incolmabile da parte delle aziende di tlc tradizionali.

Inoltre, la grande liquidità generata dagli OTT, pari ad una media di 32 miliardi di euro l’anno, consente una elevata capacità di autofinanziamento, mentre le aziende di tlc e le media company tradizionali sono costrette a ricorrere all’indebitamento per riuscire a finanziare i propri investimenti. Cosa che si traduce in un ulteriore elemento di vantaggio competitivo per le piattaforme online.

C’è poi da dire che In considerazione del grande numero di utenti raggiunti nonché del tempo speso e delle molteplici azioni compiute dagli stessi, le piattaforme riescono ad acquisire un vasto ammontare di dati personali che attraverso attività di big data anlytics consento alle piattaforme un ulteriore vantaggio competitivo.

Nel caso dei servizi online gratuiti, si realizza di fatto uno scambio implicito tra gli utenti e la piattaforma, che si sostanzia nella cessione, da parte dei primi, dei propri dati a fronte, non già di un corrispettivo economico, ma appunto del servizio offerto gratuitamente dalla piattaforma. La disponibilità di grandi masse di dati individuali consente alla piattaforma di compiere un’accurata profilazione degli utenti, dalla quale dipende la possibilità per gli inserzionisti che si servono della piattaforma di raggiungere target specifici di consumatori. In tale contesto, l’ARPU (dato dal rapporto tra i ricavi pubblicitari conseguiti nell’anno e il numero medio di utenti raggiunti) fornisce una misura di quanto vengono valorizzati i contatti pubblicitari (personalizzati) della piattaforma, e, dunque, del valore che, per finalità pubblicitarie, assumono i dati degli stessi, implicitamente scambiati per la gratuità del servizio.

Il valore dei dati individuali riflette ovviamente la disponibilità a pagare da parte dei cittadini. Da questo punto di vista, sia per il search che per i social network, gli USA presentano un ARPU pubblicitario nettamente superiore rispetto alle altre aree geografiche, in linea con quanto avviene per il PIL pro capite. I dati di un utente medio USA valgono, ai soli fini pubblicitari, circa 150 euro in un anno nel search e oltre 90 euro nei social, 3 volte tanto quelli degli europei, e 15-18 volte quelli degli utenti che si trovano in Paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda l’Italia, ai soli fini pubblicitari, il fatturato generato in un anno dai dati di un singolo utente italiano vale in media per le piattaforme 5 volte i ricavi dei principali publisher nazionali, comprendendo nell’analisi testate online e portali e questo rappresenta un fortissimo fattore di criticità per il mercato dell’editoria in Italia. I valori dell’ARPU in Italia sono infatti la cartina al tornasole  della perdurante difficoltà degli editori a competere con le piattaforme nella raccolta pubblicitaria online.

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UK verso un’imposta sui servizi digitali

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In attesa di un più vasto accordo in ambito Ocse, che tarda ad arrivare principalmente per l’ostilità degli Stati Uniti, che considerano le tasse digitali come un attacco diretto ai propri interessi, in UK il governo ha definito i piani per imporre una tassa sui ricavi da servizi digitali. Si tratta di un prelievo pari al 2% dei ricavi che andrebbe a colpire motori di ricerca, social media e servizi online di aziende con un fatturato maggiore di 25 milioni di sterline. Tradotto in pratica vuol dire che dal nuovo regime fiscale verranno colpite quasi tutte le società tecnologiche Usa.

Il tema è ormai noto. Alcune delle più grandi aziende tecnologiche del mondo pagano relativamente poche tasse nei vari Paesi in cui operano, poiché i servizi digitali che offrono, come la pubblicità e le commissioni per connettere acquirenti e venditori, si svolgono tecnicamente al di fuori del Paese dove vengono effettuate. Ciò consente loro di mantenere basso il loro carico fiscale spostando la maggior parte delle entrate in Paesi a bassa tassazione come l’Irlanda e il Lussemburgo.

Nel caso della Gran Bretagna, l’imposta sui servizi digitali verrà invece addebitata sulle entrate generate dalle vendite nel Paese, indipendentemente da dove si trova la società. Le stime indicano che alla fine il gettito prodotto sarà più di 500 milioni di sterline all’anno.

Un procedere in ordine sparso quello del governo UK ma che dimostra ancora una volta come la tassazione dell’economia digitale continui ad essere una sfida globale che interessa tutti i Paesi coinvolti, in attesa di una soluzione di compromesso che possa trovare un ampio consenso in ambito Ocse.

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La Cina accende la più grande rete 5G del mondo

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Così come era successo lo scorso mese di aprile con gli operatori tlc sudcoreani, tutti e tre gli operatori di telecomunicazioni in Cina hanno acceso la rete 5G nello stesso giorno. L’inaugurazione simultanea si è tenuta a Pechino lo scorso giovedì alla presenza di funzionari del Ministero dell’Industria e dell’Information Technology (MIIT), l’ente governativo che sovrintende alle telecomunicazioni, che ha avuto modo di sottolineare gli ambiti di applicazione della nuova tecnologia (vedi video).

Da quando sono state assegnate le licenze, lo scorso mese di giugno, sono state costruite oltre 80.000 stazioni base 5G, metà delle quali appartengono a China Mobile, il più grande operatore di telefonia mobile al mondo per numero di abbonati, offrirà servizi 5G nelle 50 città principali del Paese. Con l’occasione la società ha comunicato di aver già lanciato 44 dispositivi 5G da quando ha ricevuto la licenza.

Anche China Telecom, il più grande operatore integrato al mondo di tlc per numero di abbonati, inizierà a offrire servizi 5G in 50 città lanciando offerte integrate 5G, Cloud e AI ai clienti del settore, tra cui Internet industriale, città intelligenti, cure mediche intelligenti, istruzione intelligente, trasporti e logistica ed energia intelligente.

China Unicom che non ha fornito un numero specifico di città che andrà a coprire con il suo servizio 5G, ha comunque annunciato che condividerà la rete con China Telecom in 15 città, oltre a costruire le proprie reti 5G in 14 altre città.

La Cina dovrebbe presto superare la Corea del Sud, attualmente il Paese con la maggiore penetrazione 5G, e gli Stati Uniti per diventare il più grande mercato al mondo 5G, fino a rappresentare il 40% del mercato globale del 5G entro il 2025 con oltre 600 milioni di abbonati.

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